Valentina, Gessica, Maria. I tre esempi di lotta all’omertà
Potrei raccontarvi tante storie di donne picchiate, abusate, sfregiate da uomini violenti e per niente inclini all’accettazione del rifiuto. Vorrei tanto farlo, con la speranza che i loro racconti possano aprire gli occhi a donne che, ancora, accettano certi atteggiamenti tossici e sottovalutano il problema.
Potrei farvi i nomi di coloro le quali hanno scelto, consapevolmente, di mostrarsi, senza vergogna, diventando un esempio per chi non ha il coraggio di denunciare e farsi giustizia.
Nomi come quello di Valentina Pitzalis, ad esempio.
Valentina è una donna di Cagliari. Aveva solo 27 anni quando il marito l’ha cosparsa di liquido infiammabile e le ha dato fuoco, quel brutto 17 aprile del 2011. Il soggetto è morto tra le fiamme. Lei si è risvegliata in un letto d’ospedale, con il viso sfregiato, una mano amputata e l’altra gravemente danneggiata.
Valentina, oggi, è il simbolo della lotta alla violenza sulle donne.
Lei ha avuto una grande forza, nel reagire all’accaduto.
Caratteristica è la sua enorme sensibilità nel raccontare, nei minimi dettagli, cosa le hanno fatto.
Ha avuto ed ha tutt’ora un incalcolabile coraggio e trasmette davvero tanta speranza quando comunica.
È per tutto questo che, ora, lei è un esempio!
Come non ricordarsi di Gessica Notaro.
Gessica è una donna di Rimini. Aveva 28 anni quando, dopo aver scelto di lasciare il suo fidanzato, originario di Capo Verde, lui stesso l’ha sfregiata con l’acido, quel maledetto 10 gennaio 2017. I poliziotti hanno sospettato subito di lui. Lui che aveva già una denuncia per stalking.
Gessica era una bellissima ragazza. Nel 2007, è stata incoronata Miss Romagna. L’acido le ha causato delle gravissime ustioni agli occhi. Ora, lei è completamente cieca da un occhio.
Anche lei, come Valentina, è impegnata nella lotta della violenza di genere.
Come Valentina e Gessica, ce ne sono tante di donne che, oggi, hanno deciso di non vergognarsi e di mostrare il loro “nuovo” volto.
Anche loro hanno paura.
Anche loro avranno ancora dei piccoli rimasugli di trauma, causato proprio dalle vicende in cui si sono ritrovate.
Ma la loro paura sono riuscite a trasformarla in coraggio. Coraggio per tutte coloro che, ancora, non ce la fanno!
E non ce la fanno perchè?
Perché, purtroppo, nonostante si parli tanto di violenza e si inviti a denunciare chi la commette, c’è molta, ancora troppa omertà. Bisogna anche dire che non c’è ancora la consapevolezza alla violenza. Quel “tanto a me non potrà mai succedere!” è talmente ridondante che influenza, e non poco, i rapporti e la vita di tutti.
Non dimenticherò mai un episodio accaduto circa tre anni fa, a Ceglie Messapica, in provincia della città in cui vivo. Brindisi.
Una donna era uscita con le amiche. La chiamerò Maria, così da non lasciarla senza un’identità. Era una sera spensierata, di un freddo febbraio, prima del primo lockdown, che ci avrebbe costretto a casa e senza alcun contatto umano, per almeno 3 mesi.
Maria, come tante altre donne, organizza questa serata tra amiche. Era la notte tra sabato e domenica. Tutti noi attendiamo i weekend per vederci, uscire e stare un po’ insieme alle persone alle quali vogliamo bene. E Maria ha fatto altrettanto!
Maria e le sue amiche erano sedute in un bar. Tranquille. Finchè un soggetto non decide di iniziare a fare delle pesanti avances a Maria, avances accompagnate anche da frasi sessiste. Maria, a quel punto, stanca, risponde. L’individuo, alquanto irritato, dopo averla bloccata e fatta cadere, inizia a prenderla a calci in faccia e, poi, fugge.
Nel frattempo, le amiche di Maria chiamano il 118 ed i carabinieri. Maria viene ricoverata nell’ospedale di Bari, in prognosi di 40 giorni. L’hanno sottoposta ad un delicato intervento chirurgico, per ricostruirle la mascella e per provare a salvarle l’occhio.
Di Maria non sappiamo più niente. Non la conosco, né sono riuscita a capire chi fosse. Avrei tanto voluto dirle che io ero lì, a sostenerla, seppur moralmente. Come avrei voluto dirle che non era da sola, come quella sera. Avrei voluto darle tutto il mio appoggio, quella comprensione che manca tanto ad una donna che subisce violenza. Ma non mi è stato possibile!
Sì, era sola! Perchè se non fossero intervenute le amiche, non potremmo mai sapere che fine avrebbe fatto Maria. O, forse, possiamo immaginarlo!
Tutti hanno assisitito alla scena e nessuno l’ha aiutata.
Nessuno.
Nè il proprietario del locale o un cameriere
Né un cliente.
Né un passante.
NESSUNO.
Il motivo?
L’aggressore era un pregiudicato, figlio di un noto delinquente della zona. Per questo, per non avere problemi, hanno preferito non mettersi in mezzo per aiutare Maria. Il soggetto prendeva a calci in faccia Maria e nessuno l’ha aiutata. “Grazie” a questo atteggiamento di chi avrebbe potuto aiutarla e non l’ha fatto, la bestia umana si è beccata solo una denuncia a piede libero. Se qualcuno l’avesse almeno bloccato, all’arrivo dei carabinieri, l’avrebbero preso, portato in caserma, interrogato e posto in arresto. Non facendolo, invece, la denuncia a piede libero è solo, per un pregiudicato, un ennesima medaglia al valore e, quindi, più facile alla recidiva. Questo significa che un’altra donna, come Maria, potrebbe subire lo stesso trattamento!
L’omertà.
Quel sentimento di piena sottomissione a chi commette un reato. Quel riserbo dal quale si protegge chi ha paura della vendetta dello stesso.
L’omertà.
Quella vigliaccheria di chi non riesce ad uscire le palle per aiutare chi è in difficoltà. Altrimenti avrà problemi.
Altrimenti avrà problemi.
L’omertà.
Quella completa assenza di palle, quella piena sottomissione che si pensi possa portare a protezione.
Vi dico una cosa.
L’omertà non protegge proprio nessuno.
Nè voi che la sposate.
Né l’eventuale vittima che la subisce.
L’omertà non è altro che una forma di violenza, subdola, malefica ed altrettanto feroce.
Non si vede e non lascia segni.
Non si crede possa causare danni a lungo termine.
Ed invece è tutto questo, oltre a tanto altro.
Si vede e si sente anche.
Lascia segni indelebili. Nel cuore e nell’animo di chi la subisce.
Causa danni. Irreversibili, a volte.
E non solo alla vittima che la subisce, ma anche a tutta la collettività. Sapere di vivere in una comunità che preferisce sposare l’omertà, invece di combattere contro chi crede di fare il forte, abusando della violenza fisica non è certamente una cosa di cui andare fieri.
Siamo tutte Valentina, Gessica e Maria.
Donne alle quali potrebbero riservare lo stesso trattamento. Alle quali vorrebbero essere capite, comprese, sostenute, tutelate.
Donne che potrebbero essere la voce delle altre amiche donne.
Ora mi chiedo.
Se al posto di Maria si fosse trovata la figlia del proprietario del locale, avrebbe optato per il silenzio, ugualmente?
E se ci fosse stata vostra figlia, anche voi vi sareste seduti dalla parte della Signora OMERTÀ?
Valentina e Gessica hanno deciso di combattere l’omertà, lo fanno ogni giorno e non senza sacrificio. Quel viso così deturpato è un chiaro segno della loro volontà di continua lotta, nei confronti di tutte le forme di violenza. E ne fanno un punto di forza.
L’omertà è mafia. Non dimenticatelo mai!