Storia di un viaggio
Mi piace scrivere storie, e quando mi chiedono come mi vengano in mente, rispondo che spesso sono loro a trovare me. Questa nasce da un calcolo: 1420 km diviso due, il risultato del quale, partendo da Castrop-Rauxel in Germania, passando dal Lussemburgo con sosta ad Alassio prima di rientrare a Genova, corrisponde allo Jura.
Complicato decidere che strada farmi percorrere dovendo, per motivi tecnici, evitare Svizzera e la Savona-Torino, ma l’amore lontano conosce le mie priorità: allontanarmi il meno possibile dalla traiettoria ottimale, arrivare prima del buio, parcheggiare in sicurezza e cenare dove dormo per non rischiare il digiuno. Uniti alla buona sorte, mi hanno portata al Domaine de Bersaillin, Rue de la Poste 14, Bersaillin.
Quando ad accoglierti, con le mani occupate a trascinare un trolley e tutto il mio lavoro chiuso in una 48 ore dopo otto ore di pioggia a offuscare la vista e vento, ti viene incontro un labrador scodinzolante seguito a pochi passi da un grosso micio caracollante a strisce grigie e bianche, sembra davvero ti stiano tutti aspettando. Infatti, appena varcata la soglia, vengo avvolta da sorrisi di benvenuto come fossi di casa da Florette e Remy, la mamma di lui e un’amica della Lorena in visita. Ero l’unica ospite pagante, motivo per cui non mi hanno lasciata sola, accogliendomi al loro tavolo e ascoltando con paziente gratitudine le mie repliche in un faticoso francese che, complice la stanchezza, ho tirato fuori più per forza di volontà che altro, risparmiando loro di tradurre il mio inglese. Tre ore di chiacchiere a proposito di coronavirus ma non solo, assaggiando un Pinot Gris alsaziano ad accompagnare il dessert: crêpe avec confiture et glace au framboise.
Quando Remy al mattino mi ha chiesto suggerimenti, mi sono guardata intorno nella grande sala e gli ho risposto che erano perfetti così: lui, con le sue mani capaci, sua moglie Florette, con maionese, pane, confetture e frutta sotto spirito fatti in casa, sua mamma e Mamie di Aglaé, la loro bimba di otto mesi, che sorridendo mi confida cullandola quanto somigli al suo papà perché non dorme; la loro amica della Lorena, assistente odontoiatrica, che non vuole indossare gli occhiali di protezione perché si sarebbe fatta operare proprio per liberarsene per sempre; e Alexà.
Se in un ambiente luminoso trovi caminetto, pianoforte, tavolo per quattordici, libreria, giochi di società a profusione, ricca scelta di vini, tavolini con per ripiano una sezione di tronco in legno, divani e loro, c’è tutto.
Chi sia Alexà l’ho finalmente capito solo al mattino mentre facevo colazione.
Alexà è presente ma non esiste: le si rivolgono attraverso lo schermo di un PC per chiederle tutto e lei risponde anche al buongiorno che le viene augurato con altrettanta cortesia, tranne che a Mamie, la nonna di Aglaé, che ridendo mi strizza l’occhiolino dicendomi: “L’adoro, ma Alexà preferisce gli uomini, evidentemente…”
La risposta che non ho fatto in tempo a dare a Remy è che quando si lascia un posto con una punta di amarezza significa che fa già parte di te ed è perfetto per questo, ma l’ho capito solo in macchina.
Non cambiare nulla, Remy, ma difendilo com’è perché è unico e irripetibile come le persone che ami.
Ho dato un’occhiata di recente, ho visto che sei stato di parola e ce l’hai fatta: giochi all’aperto per bimbi e la piscina.
Tornerò a trovarti, promesso.
Le storie vivono già: aspettano solo di essere scritte.