Shikata ga nai, non c’è nulla da fare
Cosa ci vuole per farsi scivolare addosso tutto quanto? Molta forza? Molto cinismo? Niente di tutto questo.
Passiamo il tempo a pensare e ripensare a ciò che non funziona cercando di consolarci, di organizzarci, di addomesticarci, tra un poco convinto “non è niente, non è importante” e un velleitario “ora gli faccio vedere io”. Ma non puoi superare un disagio o un dolore dicendoti cosa dovresti fare o come dovresti essere. Quanto all’idea di cambiare gli altri, beh è davvero un’illusione. In giapponese c’è un’espressione, Shikata ga nai, che letteralmente vuol dire “Non c’è nulla da fare”.
Non indica la rassegnazione, ma l’abbandono di ogni ostinazione nel cercare di mettere a posto, aggiustare o modificare quello che non va.
Significa accettare il cambiamento che si è compiuto in noi e negli altri. Invita a non rimuginare ma ci suggerisce anche che non tutto è in nostro potere, che le cose vanno come devono e che spesso pur senza far nulla, si aggiusteranno in qualche modo da sole. Ci perdiamo dietro a obiettivi irraggiungibili, rimpianti, lamenti, infiniti tentativi di analizzare e di raddrizzare le cose. Crediamo di sapere cosa sia meglio o peggio per noi: ma più insistiamo su questa strada peggio stiamo.
Pensa a un albero: nasce da un seme minuscolo. Poi, un po’ alla volta e per tutta la sua vita, la pianta si sviluppa e nel farlo non si fa domande, non ha rimpianti. Si adatta a ciò che incontra: al terreno, agli eventi, alla tempesta e alla siccità, portando avanti il proprio progetto interno. Ecco: immagina che ci sia un percorso che si sta già compiendo in te. Nasce dalla tua essenza e si dispiega nel tempo, attraverso le esperienze che incontri nessuna esclusa!
Ora ciò che ti accade lo giudichi un intoppo, un difetto, un colpo basso del destino: ma la felicità non è vivere in un mondo perfetto. Saper percorrere la propria strada senza rifiutare nulla, neanche i momenti difficili. Solo così i piccoli e grandi dolori possono passare velocemente, lasciandoci arricchiti. Sei infelice se ti opponi alla vita, se perseveri nelle tue convinzioni su cosa è bene e male. Ma se il tuo occhio è attento all’interno ti accorgi che tutto quanto è importante perché è parte del tuo percorso.
Arriva un dolore, un brutto pensiero, un’emozione invadente, qualcosa è andato storto? Ecco come comportarsi per non farlo diventare cronico e anzi per superarlo in breve tempo nel modo migliore. Per prima cosa impara che devi sempre separare l’emozione dolorosa che provi adesso da quella che pensi sia la sua causa: magari il tuo partner, un figlio, un evento accaduto. Se hai litigato e ora ti senti ferito il punto non è con chi hai litigato, la relazione, la sua storia, i progetti mentali che puoi fare per aggiustarla o per vendicarti. Il punto, l’unico, sei tu! Allontana il dolore da tutto il mondo esterno: è solo tuo. Questo è fondamentale. Altrimenti perdi un tempo enorme a cercare di cambiare ciò che non puoi cambiare, ad esempio gli altri o il passato.
A questo punto, liberata la mente dai commenti, dai giudizi, dai propositi, da tutto il mondo esterno, preoccupati solo di sentire il dolore dentro di te nel modo più puro possibile. Sentilo e basta, senza nessuna intenzione di scacciarlo. C’è, è un lato di te che vuole che tu lo guardi. Percepisci la sua energia, accoglila, falla entrare. E resta con essa, come se fosse un animale della foresta ferito che si è accucciato accanto a te. Il dolore, se non lo contrasti, ha il potere di spogliarti da convinzioni, certezze, identità superficiali e di riportarti a ciò che rimane: il Sé autentico. Allora, in questo stato, si possono affacciare risorse impensabili che ti aiuteranno a proseguire sul tuo cammino in modi inaspettati.
Quella frase ascoltata o pronunciata risuona ancora nella tua testa e ti fa male procurandoti amarezza o senso di colpa? Non riesci a non pensare a quella offesa?
La cosa che puoi fare è non provare in alcun modo a scacciare quello che senti anzi: concentrati e mettiti esattamente al suo fianco. «Adesso, alle 15.20, quella frase mi ha ferito e io sento il dolore, la vergogna, o la rabbia. Dove lo sento? Nel petto e nella pancia. Porto la mano esattamente su quel punto. Sento la sofferenza, non cerco di scacciarla anzi le chiedo di avanzare, di espandersi, di diventare come una sfera di luce che mi avvolge. La guardo senza volerla cambiare. Cedo al dolore: sono qui, non oppongo resistenza, lo lascio venire».
Ecco: così il tuo compito è finito, le sofferenze fanno parte della vita, accoglierle in questo modo crea saggezza e profondità e ti insegna a stare nel tuo percorso nel modo giusto. Da quella ferita, se non la combatti, nascerà un nuovo germoglio.