Psicologia

Paura innata: analisi e presa di coscienza che nemmeno quella deve o può controllarmi/ci

Nella mia testa, l’articolo di cui parlerò qui sarebbe dovuto essere più leggero. Ma, purtroppo o per fortuna, ho questo alone di tristezza e malinconia che accompagna il mio essere da sempre. In fondo, credo di aver pensato che questo argomento fosse più lieve semplicemente perché la società non gli dà peso.

Niente suspense, vi dirò subito di cosa parlerò: la paura di invecchiare. Una paura che, per me, è innata.

L’ipotesi della predisposizione innata alla paura

Da un punto di vista darwiniano, siamo portati a identificare selettivamente tutti quegli stimoli che potrebbero compromettere il nostro benessere, per evitarli e garantire la sopravvivenza. È come se esistessero vincoli biologici in grado di farci intuire la pericolosità di certi elementi, fattori o contesti, ancor prima di averli sperimentati.

Questo è il principio alla base della teoria della predisposizione biologica alla paura, che afferma l’esistenza, negli esseri viventi, di una capacità innata di intuire i pericoli. Secondo questa teoria, il circuito della paura è influenzato da fattori genetici ed esperienziali ed è potenzialmente trasmissibile alle generazioni future.

In sostanza, l’essere umano ha imparato a temere certi stimoli in modo adattivo. Alcuni di essi vengono percepiti istintivamente come dannosi, e questa percezione difensiva riflette le esperienze negative vissute dai nostri antenati.
(Fonte: Menzies, R. G., & Clarke, J. C. (1995). The etiology of phobias: A non associative account. Clinical Psychology Review)

Quando ho realizzato la mia paura

Ora non ricordo l’anno, ma ricordo che ero bambina, probabilmente prima dell’adolescenza o persino del primo ciclo mestruale. Guardavo un documentario su Marilyn Monroe con mia madre. Parlavano del suo suicidio (anche se oggi sappiamo che la verità potrebbe essere diversa), e chiesi a mia madre perché lo avesse fatto. Lei mi rispose: “Si tolse la vita perché non voleva invecchiare”.

Ricordo di aver capito profondamente quel sentimento, anche se ero così piccola. Mi colpì a tal punto che, ancora oggi, penso che la mia ansia da separazione (di cui parlo qui nell’articolo In fondo, io, Dahmer un po’ lo capisco) sia collegata a questa fobia.

L’impatto di “The Substance”

Recentemente ho visto al cinema The Substance, un film controverso ma che ho sentito profondamente mio. Mi ha toccata così tanto che fatico persino a spiegare le corde che ha smosso dentro di me. Ci sono emozioni che non si spiegano: si sentono e basta.

C’è una scena, in particolare (allarme piccolo spoiler), in cui Demi Moore si guarda allo specchio dopo essersi preparata per un appuntamento. Più si osserva, meno si piace. Più si guarda, più si odia, fino al punto di picchiarsi. Lei non si riconosce nel suo riflesso, nella sua versione invecchiata.

Ho pianto a quella scena. Per me è stata devastante e profondamente vera.

La pressione estetica

Credo che la paura di invecchiare sia un sentimento che le donne, in percentuale maggiore, provano da secoli. Da sempre, la donna è stata giudicata prima per la sua bellezza e poi per i suoi meriti. Gli uomini, invece, sono spesso valutati per i loro talenti.

Con i social media, questa pressione è diventata ancora più contemporanea e opprimente. Se una volta la bellezza era legata alle regine o alle attrici, oggi la pressione di essere belle, giovani e affascinanti è ovunque.

Quante donne belle sono state considerate automaticamente stupide? Quante donne non conformi ai canoni estetici hanno sentito la necessità di eccellere intellettualmente per “compensare”? Quante hanno sacrificato sogni per paura del rifiuto legato all’aspetto fisico?

Io ho sempre puntato sulla mia intelligenza e sullo studio, ma riconosco che il mio aspetto fisico mi ha aiutata nel lavoro. Nei ruoli a contatto con il pubblico, il requisito della “bella presenza” è spesso implicito.

Il rovescio della medaglia

Ed è qui che nasce la mia fobia: la bellezza svanisce. Certo, oggi esistono mille modi per sembrare giovani anche a 50 anni, ma la pressione resta. A volte mi guardo allo specchio e noto piccoli cambiamenti. Mi vedo la palpebra più calante e penso: “Vorrei fare una blefaroplastica”. Mi guardo nuda e vedo meno tonicità.

Eppure, ho 34 anni e spesso mi sento dire che non dimostro la mia età. So che ciò che vedo non è sempre reale, ma il pensiero di non essere più quella ventenne spensierata mi spaventa.

Una riflessione più profonda

La mia paura va oltre l’aspetto fisico. Ho paura di perdere la leggerezza, l’incoscienza e la magia della giovinezza. Ho paura di essere giudicata per voler mantenere quella frizzantezza.

Per molto tempo non ho pensato che la “me del futuro” potrebbe essere orgogliosa di ciò che sono ora. Non ho considerato che la mia forza di oggi potrebbe portarmi a vivere una vecchiaia piena e serena.

Ma oggi, quando mi fermo a riflettere, capisco che il mio viaggio è fatto di tutte le fasi della mia vita: dalla bambina che sognava, alla ventenne che lottava, fino alla donna che sono ora.

In conclusione

Ho paura di invecchiare quando dimentico chi sono. Se mi ricordassi sempre chi sono e il percorso che ho fatto, non avrei nulla da temere. Io, in tutte le mie età, continuerò a lavorare su di me e non lascerò che questa paura mi controlli.

La vera libertà non sta nell’essere giovani per sempre, ma nel vivere ogni fase della vita con consapevolezza e gratitudine.