Attualità

Ossimoro – contraddizione in termini


Sono stata ottimista: non mancano cento, ma molte di più. E tra quelle che mancheranno il prossimo anno, alcune ora mi stanno leggendo. Mi rivolgo soprattutto a voi, che siete dall’altra parte dello schermo.
Ascoltami. Ascolta una vecchia amica che ci tiene a te. Non commettere l’errore di pensare di essere al sicuro, non farti ingannare dalla convinzione che a te non possa accadere. Lo pensavano anche quelle che l’anno scorso erano al tuo posto e ora non ci sono più.
Vorrei credere che tu ti sia salvata, che tu abbia deciso di mettere in salvo te stessa e, se ci sono, i tuoi bambini. Perché se ti ha picchiata una volta, lo farà ancora e sempre più forte. E prima o poi ci riuscirà davvero.
Sto parlando proprio a te che stai leggendo. Non posso vederti, ma tu sì. Maria, Anna, Angela, Lucia, Giulia, Alessandra… e non vi cito tutte perché l’elenco è troppo lungo: sto parlando a te, proprio a te. Mettiti in salvo. Non fidarti delle ennesime promesse fatte per paura di vederti sanguinare. Non sarà questo a salvarvi la prossima volta. Chi picchia ha bisogno di farlo sempre più forte.
Ora sei ancora qui. Fai in modo di esserci anche l’anno prossimo, anziché far parte di quelle cento che non ci saranno. Forse al mio posto ci sarà qualcun’altra a ripeterti le stesse parole, ma tu ascoltale oggi.

Scrivo romanzi noir polizieschi, con un tocco di thriller e qualche traccia di giallo. Quando mi chiedono perché non ho ancora scritto del fenomeno sociale per eccellenza, il femminicidio, rispondo con una mezza verità: manca il movente economico.
Quasi mai i femminicidi riguardano i soldi. Parlano di rabbia, violenza, frustrazione, disperazione, cattiveria.
I musicisti trasformano le loro parole in musica, gli attori usano il corpo, la voce, i gesti. Nei film ci sono immagini, paesaggi e dialoghi a dare vita a una storia.
Io scrivo. Ho solo le parole. Non ho musica, colori o immagini per renderle vive. Le parole sono tutto ciò che ho.
Le parole nascono e si trasformano ogni giorno. Cambiano le situazioni, e alcune di loro si affacciano, nuove di zecca, prendendo il posto di altre. Ma le vecchie parole non scompaiono: restano lì, usate meno, ma sempre pronte a raccontarci chi siamo. Noi siamo parole, il significato che diamo loro. Le pronunciamo, le ascoltiamo, le leggiamo, le scriviamo. Le sogniamo, a volte le pensiamo soltanto.

Ci sono parole che sembrano opposte, ma convivono serenamente: dolceamaro, chiaroscuro… parole che raccontano cose nuove, mai esistite prima.
Si può morire durante la Parigi-Dakar, scalando l’Everest, lanciandosi col paracadute. In quei casi si muore per passione, non di passione. Ecco perché provo rabbia, disgusto e un senso di profonda angoscia quando sento definire un femminicidio come delitto passionale.
Forse, da un punto di vista filosofico, ha un senso. Ma per me non esiste alcun legame tra passione e morte violenta. Non si muore di passione, ma per passione, eventualmente. E trovo aberrante attribuire alla passione una colpa che non ha.

La passione è avventura, ricerca, scoperta, impegno, solidarietà, volontariato. È arte, discussione, provocazione, sensualità, erotismo, vita.
La curiosità è il motore che ci fa vivere, la passione è la benzina che lo alimenta. Non ha nulla a che vedere con il femminicidio. Chi uccide non lo fa per passione, ma per odio. La passione è amore, ed è vita. Non può essere causa di morte violenta.
Chiamare un femminicidio delitto passionale è un’offesa alle vittime. È uno scempio, un’ingiustizia. È come se il delitto d’onore del vecchio codice Rocco non fosse mai stato abolito.

Vorrei che la prossima persona che vi parlerà possa dirvi che l’aggettivo “passionale” è stato finalmente eliminato accanto alla parola “delitto”. Vorrei che cominciassimo a usare le parole nel modo giusto, per non creare idee sbagliate.
Non servirà a molto, ma da qualche parte dobbiamo pur iniziare. E allora iniziamo gridando che non si tratta di passione. Se continuiamo a usare le parole nel modo sbagliato, rischiamo di far perdere loro il vero significato. Le trasformiamo in mostri.
Perché dire “delitto passionale” è una vergogna inaccettabile.