Mi racconto: le mie emozioni e le mie fragilità
Ogni volta che scrivo, non è mai molto semplice. Questo perché il mio status emotivo è sempre molto forte. Ma non riuscirei a scrivere quello che scrivo, se non fosse così!
Questa lettera è per tutti voi. Ed ammetto che la difficoltà, questa volta, è davvero alta!
Durante una mia live, ho letto una lettera. Una lettera che è partita dal cuore. Erano parole che sentivo di dire a tutti coloro i quali ogni mercoledì sera, dal 1° di marzo, hanno deciso di seguirmi sul canale di “The Digital Moon” su TWITCH. La live in questione è precisamente quella del 24 maggio.
Ero tornata da poco da Firenze, dalla mia prima intervista alla radio. Un’esperienza davvero carica di emozioni. Una prima volta che non dimenticherò facilmente, certo! Non avrei mai immaginato, fino a qualche mese fa, di poter vivere tutto ciò.
Nella lettera, ho esordito proprio così.
“Fino a pochi mesi fa, non avrei mai immaginato di poter arrivare a tutto questo.”
Premetto una cosa molto importante per me.
La lettera è stata scritta per mettermi a nudo con la mia community di TWITCH. Il mio format “Sangue e Rose” è nato dopo tanti, ma tanti, ma tanti pensieri in merito. Positivi e negativi. Uno fra tutti “Ce la farò mai!?”, oppure “Ma figurati se riuscirò mai ad andare avanti! Mi chiederanno di chiuderlo!”. E così via. Era una vera e propria sfida con me stessa, un nuovo capitolo di quel percorso del volermi bene che ho fortemente voluto iniziare.
Ho riflettuto molto su come affrontare quella live, senza un ospite, io, sola, davanti a chi mi segue. Ho pensato “Perché non essere io l’ospite della mia live!?”. E così ho fatto! La lettera era il modo più semplice per affrontare tutte le tematiche che ho pensato di trattare. Era il filo conduttore tra me e voi, sempre presenti e pieni sostenitori di un’umilissima donna di quasi 36 anni, del Sud.
Cosa ho parlato nella mia lettera?
Intanto ho ringraziato “The Digital Moon” e tutti coloro che hanno creduto in me. I miei articoli, fino a pochissimi mesi fa, erano solo delle riflessioni che tenevo custoditi in una cartella sul Desktop del mio PC. Non avrei mai immaginato che sarebbero potuti esser pubblicati. Né tantomeno che potessero piacere a qualcuno.
Durante le scuole, io ero una di quelle ragazzine che attendeva il tema come compito in classe. Ricordavo ancora lo stato emotivo di quel momento, molto teso perchè era pur sempre un compito in classe, ma anche molto creativo. Entravo quasi in estasi, mi rinchiudevo in un modo tutto mio, dove la concentrazione era rivolta solo a me ed all’argomento scelto.
La scrittura.
Da piccolina, non ho mai pensato che potesse essere una vera e propria cura.
Da grande, ho scoperto che fa tanto. Tramite la scrittura, sto lavorando tanto su me stessa, in particolar modo su una mia debolezza, una delle tante. Quella di non saper mostrare le proprie fragilità.
Ho creduto, infatti, per tanto tempo, che mostrare le proprie fragilità fosse un modo per dimostrarsi fragili, deboli, vulnerabili. Un po’ è anche così. Perchè, in un certo senso, metti a nudo una parte nascosta di te, quel lato che mostraresti solo a chi ti fidi ciecamente. Persone della tua famiglia e pochissimi altri, per intenderci! Si sa, le fragilità fanno parte di noi, della nostra vita. Colorano parte delle nostre giornate, condizionano alcuni tratti di una relazione o, semplicemente, di un rapporto. Ma non puoi scappare da un qualcosa che è naturale. E le fragilità sono “naturali”, un lato fragile sì, ma naturale.
Come lo sono le emozioni!
Le emozioni.
Da piccolina, non comprendevo. Non comprendevo come si potesse essere così, come ci si potesse sentire così “pieni”. Ora, sto iniziando a capire. Mi sono sempre paragonata ad una pentola a pressione di emozioni. Io, che addirittura quasi limitavo il mio essere, perchè non riuscivo a gestirle. Come fai a gestire un qualcosa, se qualcuno non te lo insegna o, almeno, non ti consiglia come potresti fare? Quindi, visto che non riuscivo a gestirmi, semplicemente allontanavo.
Mi sono sempre sentita sbagliata. Mi hanno sempre fatta sentire sbagliata. “Laura, controllati!” era una frase, un imperativo che mi veniva ripetuto praticamente ogni giorno. E così, ho iniziato a non provarle più! Il pianto? Visto che era molto sentito, odiavo piangere e, così, non piangevo. Avevo imparato che gestire le emozioni significava non provarle. Facile! E così con tutte le altre!
Mi sentivo invincibile.
La gestione delle mie emozioni è stata una lotta continua con me stessa. Questo perchè non me l’hanno mai spiegata, non mi hanno mai insegnato cosa significasse “gestire le proprie emozioni”. Ero l’esagerata della situazione, una bambina che doveva essere domata. Tutto inutile! Ancora oggi, chi cerca di domarmi, perde in partenza.
Da poco tempo, sto imparando che le emozioni vanno vissute. Tanti, troppi, non capiranno, anzi mi allontaneranno, ma poco importa. Sto imparando ad essere me stessa. Quel percorso di crescita che ho intrapreso comporta dei rischi ed il “non essere compresa” è uno di quelli.
In fin dei conti, chi non comprende non può stare con me. Può solo allontanarsi e, magari, farsi due domande. Non sono per tutti, non sono una donna semplice da tenere accanto. Sono quella donna che ti invierà un messaggio, quando si sentirà offesa. O ti dirà che non vorrà vederti, quando si sentirà ferita. Questo perchè ha imparato, da piccolina, l’allontanamento emotivo e l’ha dovuto affrontare da sola. Posso affermare, ad oggi, di essere un’esperta nel settore! Posso benissimo dire di essere sicura di ciò che voglio e cosa posso dare (in termini di emozioni e sentimenti, ovvio!).
L’amore.
Non so descrivere bene cosa fosse l’amore.
Penso di non averlo mai vissuto completamente. Sono pienamente consapevole di aver vissuto relazioni molto tossiche e di aver provato a farmi amare da qualcuno. Sono sempre stata bisognosa di amore, di avere accanto qualcuno che potesse proteggermi, farmi sentire al sicuro. Quell’uomo che potesse accogliermi nella mia interezza, con i miei pregi (pochi!) e difetti (tanti!). Ma che, soprattutto, potesse rispettarmi per quella che sono, senza attuare trucchetti magici per potermi modificare a suo piacimento.
La sincerità.
Non riesco a pensarmi senza sincerità. Sono una donna che dice quello che pensa, sempre e senza avere paura. Dice quello che pensa e fa quello che vuole. E questo è stata una delle caratteristiche che mi ha sempre contraddistinto. Per le mie cose ho lottato. Ho combattutto per la mia libertà, per la mia dignità, di donna, di persona, di professionista. Ho lottato con me stessa e con gli altri per non limitare la mia felicità. Anche se, devo ammetterlo, con tanta difficoltà e non sempre ci sono riuscita (in passato almeno!).
La lettera della live del 24 maggio raccontava una storia. Una storia di un ragazzo che io ho chiamato Andrea. Andrea è un nome fittizio. Non ho scelto a caso il nome “Andrea”. Il suo significato è strettamente legato alla sua storia. Il nome “Andrea” significa, infatti, “coraggioso”, “forte”, “indomito”.
Andrea è un bellissimo ragazzo dagli occhi grandi, neri e profondi di 23 anni. È di un paesino della provincia di Taranto, famoso per la sua ricca architettura e per il suo piatto tipico. “Li fai e foje”, un purè di fave, cotte in una pignata al fuoco del camino, con contorno di verdure selvatiche, lesse e condite con un filo di olio.
Andrea ha una malattia altamente debilitante e fortemente aggressiva. Una forma molto grave di SLA. Nelle ultime settimane, si può dire che abbiamo vissuto insieme la sua malattia. Era sulla sedia a rotelle, riusciva a spingerla lui, ma dopo pochi giorni, è dovuta passare a quella elettrica.
Le sue condizioni peggiorano di giorno in giorno, ora in ora, minuto in minuto. Andrea mi chiede di vederci. Vorrebbe tanto fare una passeggiata con me. Io accetto, ma gli dico che mi avrebbe dovuto aiutare con la sedia, perchè sono troppo impacciata. Lui ride. Ed io ero contenta di avergli strappato un sorriso. Con Andrea abbiamo più volte pensato al nostro incontro. La passeggiata durante la quale avremmo parlato del mare. Ad Andrea piace tanto il mare. Giusto qualche settimana fa, la sua mamma lo ha portato al mare e lui era stracontento. La nostra passeggiata sarebbe stata così. Io che avrei spinto la sedia a rotelle, lui che avrebbe lottato contro il suo corpo che non controlla più, per essere quanto più indipendente possibile. Noi che avremmo parlato di ciò che ci fa stare bene. Mare e dolci in primis.
Durante il mio viaggio per la Toscana, Andrea mi scrive. Non stava per niente bene. Nonostante fosse attaccato alle macchine e non respirava bene, mi ha fatto sapere che ha parlato di me alla sua infermiera. Lei si chiama Carla, anche questo nome fittizio per rispettare la riservatezza di una persona che non ha intenzione di mostrarsi. Carla è un’infermiera specializzata e gli sta sempre accanto.
Andrea mi scrive: “Ho parlato di te a Carla. Quando non riuscirò più a scriverti, ho detto a lei di darti tutti i dettagli del mio stato di salute. Le ho detto che ho conosciuto una donna meravigliosa con cui mi trovo benissimo e che se ne avrò la possibilità vorrei incontrarmi, perchè sento che con lei posso essere me stesso, mi fa sentire a mio agio oltre ad essere dolcissima”. Non posso nascondere la mia commozione di quel momento. Ha aggiunto poi: “Per me sei importante tu. Mi hai dato tanto. Mi fai stare bene.”
Dopo pochissimi minuti, Andrea ha una seconda fortissima crisi respiratoria. La prima l’aveva avuta la settimana precedente ed era stato ricoverato. Andrea mi chiede di stare con lui. Di non lasciarlo. Io ero lì con lui, mentre il suo polso decide di smettere di dare segni di vita.
I sanitari del 118 lo salvano, lo stabilizzano e decidono di portarlo nuovamente in ospedale. Nei giorni in cui io ero in Toscana, l’ho chiamato. Una semplicissima chiamata su Instagram per lui era tanto. Carla mi teneva continuamente aggiornata delle sue condizioni. I suoi parametri vitali sono deboli, ma lui continua a lottare. Chiedeva spesso di me, ma le nostre telefonate si intervallavano alle medicazioni, alle visite, alle crisi.
Un martedì era al telefono con me. Andrea non riusciva più a parlare. La sua voce flebile era ancora più flebile. Ma cambiava quando gli parlavo del mare, del sole, dell’estate. In una delle nostre telefonate, mi ha fatto sapere che lui fa il compleanno in estate, qualche giorno dopo il mio. Sia io che lui saremmo stati invitati ufficiali al compleanno dell’altro. Compleanno che vorremmo insieme passare al mare, a mangiare dolci, a ridere ed a scherzare come due bambini.
Dopo una settimana di ricovero, i medici danno ad Andrea una terapia palliativa, grazie alla quale riesce a stare molto meglio. Tanto che il 1° giugno, riusciamo ad incontrarci ed a fare una passeggiata, seppur di pochi minuti.
Non potete neanche immaginare la contentezza di Andrea.
Lui spingeva la carrozzina e pretendeva di essere indipendente. Si era vestito di tutto punto, con la camicia, il pantalone elegante. Era pulito, profumato. Come se l’incontro con me fosse stato un appuntamento galante. E per lui lo era.
Abbiamo avuto giusto il tempo di fare qualche videochiamata.
La situazione di Andrea è peggiorata in una settimana.
In pochi giorni, si è totalmente paralizzato. Dal riuscire a parlare ed a scrivere, è passato a stare malissimo.
Era Carla che mi aggiornava quasi giornalmente.
Finché una domenica pomeriggio, il 18 giugno, dopo pranzo, mentre io stavo pensando di andare al mare o meno, Carla mi fa sapere che negli ultimi tre giorni Andrea è peggiorato notevolmente e quella mattina le sue condizioni non era assolutamente buone.
Nei giorni precedenti, Carla mi chiese se fossi in grado di incontrarlo o di fargli una videochiamata. Ci ho pensato tanto, come ho riflettuto moltissimo su ciò che avrei potuto dirgli.
Nonostante avessi accompagnato la mia mamma durante tutta la sua malattia e negli ultimi suoi istanti e, quindi, dovrei sapere come comportarmi in certe situazioni, vi assicuro che non è per niente semplice. Poche volte nella mia vita, mi sono ritrovata a non sapere cosa dire. Cosa dici ad un ragazzo di 23 anni, completamente paralizzato, negli ultimi suoi istanti di vita?
Carla mi ha consigliato di dirgli quello che mi veniva dal cuore.
Il cuore. Dovrebbe essere facile. Soprattutto per me, che parlo di emozioni.
Ed invece no!
Ho solo pensato che non potevo fare l’egoista, che dovevo fare questo ultimo regalo ad Andrea. Sapevo bene che lui avrebbe voluto vedermi. Me lo scriveva ogni giorno, ma le sue condizioni non permettevano tutto ciò.
Ci siamo videochiamati. Per tre volte in poco meno di un’ora.
Non era lui.
Non riusciva a parlare. Era completamente immobile. La bocca aperta.
Muoveva solo gli occhi. Al mio “Ti voglio bene!” ha alzato gli occhi. Era il suo modo per dirmi di “Si!”.
Gli ho parlato del nostro incontro. Anche se non è stato possibile farlo al mare, è stato comunque molto bello. E lui se lo ricordava!
Non sono riuscita a dirgli “Addio!”.
Gli ho solo detto che gli volevo bene, che l’avrei portato nel mio cuore.
A tutto ciò lui ha risposto alzando gli occhi.
Andrea mi ha cambiata. Non posso assolutamente affermare il contrario.
Un’esperienza del genere mi mancava.
Spesso, ci si lamenta del lavoro che non ci soddisfa, di una vita infelice e priva di emozioni. Non riusciamo neanche a pensare quanto noi siamo fortunati.
Andrea era ben consapevole delle sue condizioni. E, nell’ultima videochiamata, sapeva benissimo che se ne stava andando.
Quando ci siamo visti, si è goduto ogni secondo, ogni momento, ogni piccolo dettaglio.
Andrea mi ha insegnato tanto. Ho vissuto delle emozioni troppo forti per poterle descrivere appieno. E mi rendeva orgogliosa sapere che lui stava bene con me.
Giovedì 22 giugno, tra le ore 8 alle ore 9, Andrea se n’è andato.
Non è stato facile per me, nonostante sapessi che, da un momento all’altro, se ne sarebbe andato per sempre. Ma mi rincuora il fatto che ora è finalmente libero, libero da quel corpo che non riusciva più a controllare. Lui che, prima della malattia, è riuscito a viaggiare tanto. Ed ha visto posti come Manhattan o come la Spagna.
Ora, me lo immagino così. Che corre libero verso il mare che amava tanto. È sorridente, con quegli occhi grandi, neri, profondissimi che ti divorano. E mangia dolci. Chili di dolci.
Mentre sto scrivendo questa lettera, piango a dirotto, come una bambina il primo giorno di scuola. Non riesco a fermarmi. Da domani, so che non riceverò più, mai più, un messaggio di Andrea.
Il mio egoismo mi spingerebbe a dire che vorrei ancora leggere quel “Ciao Laura!”.
Ma il mio cuore mi dice: “Andrea, ora, è felice e non soffre più!”.
Posso solo dire “Grazie!”. Grazie Andrea per avermi insegnato tanto.
Ciao Andrea! Ci vedremo presto!