Mente ostacolante: sfide nella cura della depressione
Ci sono depressioni che fanno una gran fatica a guarire o che diventano croniche. Potrebbero metterci qualche settimana o, al massimo, pochi mesi, e invece si protraggono molto più a lungo. Mettono a dura prova non solo chi ne soffre, ma anche chi gli vive accanto.
Si tratta di depressioni in cui il processo di guarigione non viene “lasciato agire” dalla persona che soffre, la quale anzi interviene continuamente mettendo ostacoli di ogni tipo. Ostacoli derivanti dai suoi pregiudizi o dal suo carattere. Questi sono due elementi in grado, con la loro rigida e intransigente presenza, di modificare il percorso che porta verso la guarigione. Per questo motivo è importante parlarne. Una terapia valida può dirsi tale solo se, oltre ai giusti aspetti tecnici che la caratterizzano, non viene snaturata da comportamenti che, in modo più o meno inconscio, la boicottano proprio nei momenti più importanti o ne determinano assurde limitazioni.
Si tratta di un fenomeno assai sottostimato, difficile da quantificare. Si può dire, tuttavia, che è più difficile trovare chi segue una cura senza disturbarla piuttosto che chi finisce per mettere sempre ostacoli e paletti. Partiamo dai pregiudizi e dalle convinzioni errate. «Non credo nella psicoterapia. È solo una perdita di tempo e di soldi». «La depressione viene solo a chi se lo può permettere: la mia è una piccola crisi che passerà da sola»;
«È solo una questione di volontà, non centrano le cure». Come si vede, queste convinzioni possono agire su ogni tipo di trattamento, inibendolo. Ogni approccio proposto viene ritenuto per principio inefficace o inadatto “a sé”, così che la persona finisce per scegliere un percorso “di compromesso”. Dal quale spesso viene tagliato fuori proprio quel che, invece, sarebbe fondamentale.
C’è chi ha bisogno per un breve periodo di psicofarmaci perché ha una depressione cronica, ma si oppone “ideologicamente”. Altri invece hanno davvero bisogno di una psicoterapia per comprendere e cambiare alcune dinamiche interiori o relazionali. Tuttavia il pregiudizio (io credo solo nella scienza dimostrabile) glielo impedisce. C’è chi pensa che solo i farmaci possano far guarire, ma la sua depressione richiede altri tipi di intervento. C’è chi aspetta troppo a curarsi. Chi cambia di continuo cura e specialista; “chi interrompe la cura non appena inizia a funzionare” convinto che sia sufficiente così.
Possiamo dire che i pregiudizi e le convinzioni errate portino la persona a “mancare di rispetto” alla propria situazione che, invece, è “sacra”. Questo perché sta esprimendo un disagio importante, cui vanno forniti gli strumenti più adatti a essere risolto. La persona, fiera delle proprie false certezze, pensa di essere libera. Anzi: più libera degli altri. Invece è il contrario. Per cui deve solo sperare che ciò che la sua mentalità gli consente di seguire sia ciò che effettivamente gli serve.
Queste persone, inclusa me stessa, vittime dei propri pregiudizi e del proprio carattere, si trovano così non solo a dover combattere la depressione, ma anche se stessi.
Spesso, addirittura, è più difficile convincerle a curarsi nel modo più adatto che non curare la depressione in se stessa. Lo specialista si trova a dover superare tanti “questo non lo faccio”, “in questo non ci credo“, “per me è inaccettabile“, “io non sono il tipo”, “voi non capite“; e non è detto che ci riesca.
Del resto non è questo il suo ruolo. Deve individuare la cura giusta e fornire informazioni su come seguirla nel tempo. Non può mettersi “in sfida” con la persona per cambiargli convinzioni o carattere. È piuttosto chi sta male a dover cambiare atteggiamento e lasciare da parte rigidità e orgoglio. Non è da escludere, peraltro, che spesso siano proprio queste caratteristiche ad aver contribuito alla crisi, che ora però offre la possibilità, seppur attraverso la sofferenza, di cambiare aspetti che ci remano contro nei momenti di difficoltà psicologica, ma anche nella vita quotidiana.