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L’Oracolo di Delfi dell’antica Grecia, tra storia e leggenda

Situato sulle pendici del monte Parnaso, l’oracolo di Delfi traeva origine dall’uccisione del mostruoso serpente Pitone. Posto a guardia di una fonte sacra, da parte di Apollo.

L’oracolo di Delfi impose la sua autorità su tutti gli altri oracoli a partire dall’VIII secolo a.C. Secondo il mito, Apollo insediò il santuario pitico e ordinò che una vergine, la Pizia, proferisse gli oracoli ispirata dal soffio divino.

I consultanti erano ammessi ad uno ad uno all’interno del tempio di Apollo. Prima, però, dovevano purificarsi alla fonte Castalia (proprio come aveva fatto Apollo stesso dopo l’uccisione di Pitone). Dovevano pagare una tassa preliminare e offrire una capra in sacrificio. Da quel momento poteva avvenire l’incontro con la Pizia. Questa, nella cella più interna del tempio, nascosta allo sguardo dei pellegrini, stava seduta su un alto sgabello a tre piedi. Il tripode, posto sopra la fessura della roccia nella quale scorreva l’acqua della fonte Cassiotis.

In origine la Pizia era una giovane vergine nativa del paese. In seguito, a coprire questo ruolo nell’oracolo di Delfi, fu scelta una donna di età più avanzata. Questa donna viveva all’interno del santuario e doveva osservare una rigorosa castità.

Come i consultanti, anche la Pizia si sottoponeva ad un cerimoniale preparatorio prima di proferire il responso del dio Apollo. Beveva acqua della fonte Cassiotis, masticava alcune foglie di lauro; assorbiva i vapori che salivano da alcune fenditure del terreno e che le procuravano uno stato di trance.

I suoni più o meno intellegibili che uscivano dalla sua bocca erano riformulati dai sacerdoti e ne traevano un responso formulato, sovente, con parole ambigue. Il rischio di essere smentiti dai fatti poteva compromettere definitivamente il prestigio della Pizia. Pertanto eventuali responsi sbagliati erano attribuiti all’incapacità di comprendere, piuttosto che a quella di prevedere.

Un po’ quindi come accade nei moderni oroscopi, l’Oracolo faceva dell’ambiguità la sua carta vincente. La sola che gli garantisse di coltivare il terreno del dubbio interpretativo. E che gli permettesse di riservarsi la possibilità di poter sempre far ricadere a favore della realtà delle cose le sue profezie. Uuna volta che gli eventi avessero preso un indirizzo ben preciso.

Con il passare del tempo l’Oracolo di Delfi perse la sua divina imparzialità. Negli anni della Guerra del Peloponneso, ad esempio, si schierò apertamente dalla parte degli Spartani. Quest’ultimi profetizzarono che Apollo li avrebbe sostenuti con ogni mezzo nella lotta contro l’odiata Atene. Una tendenza che con il passare del tempo si accentuò sempre più. E l’indipendenza del santuario venne mortificata dal dominio politico e militare delle varie potenze egemoniche. Prima Febo si schierò al servizio di Atene, poi di Sparta, di Tebe e infine della Macedonia. Quando ormai “la civiltà delle póleis” era al suo tramonto, sia Filippo II che suo figlio Alessandro, fecero dell’Oracolo uno strumento per la conquista della Grecia.

Nonostante tutto in Grecia non si abbandonò mai l’amore e la devozione per i vaticini delle sacerdotesse di Delfi. Almeno fino all’inizio del IV secolo, folle di credenti ellenici continuarono ad imboccare le vie sacre diretti al santuario più famoso del mondo antico. Da Atene prendendo la Via Pitica si giungeva fino alle mura del santuario e lo sguardo del viaggiatore non poteva non soffermarsi appena arrivato sulla Marmarìa. La cava di marmo nei cui pressi sorgeva anche il tempio di Athena Prònaia, che come dice il suo nome era posto “davanti al santuario”. Qui un fiume dalle acque gelida e diafane, la cosiddetta fonte Castalia dava il benvenuto ai pellegrini. I quali, passando sotto un affascinante porticato, potevano imboccare la Via Sacra fino alla porta di Milziade, l’accesso principale all’intero complesso.

Da lì ci si inerpicava lungo un cammino in ascesa. Costeggiato da ricche costruzione, colonne, migliaia di statue e tempietti votivi, chiamati Tesori, e donati dalle città di ogni angolo della Grecia allo scopo di raccogliere le offerte votive dei fedeli. Si passava così di fronte al Tesoro dei Sifni, a quello di Atene e superando il Bouleterion (sede del Senato cittadino) e la Stoà (un grande colonnato fatto costruire da Pericle alla metà del V secolo in commemorazione della vittoria ateniese sui Persiani) si veniva accolti dalla Colonna di Naxos per poi proseguire nella salita fino all’altare di Chio.

Realizzata in un suggestivo marmo nero, l’altare era situata davanti al tempio di Apollo. Ed era l’altare principale del santuario, costruita dagli abitanti dell’isola di Chio nel V secolo a.C.. Questa era eretta nei pressi del tripode di Platea e si apriva su una piazza nella quale trovavano posto un carro d’oroe l’enorme statua del Colosso, doni questi offerti al figlio di Zeus e Latona dalla città di Rodi. Il Colosso dava il benvenuto ai credenti prima del loro accesso al tempio principale dell’intero santuario. Quello di Apollo che, oltre a custodire l’omphalos, l”ombelico del mondo” era il luogo in cui si trovava l’adyton. La camera nella quale la Pizia entrava in contatto con il Sio.

Ma cosa significava essere una Pizia dell’Oracolo di Delfi? Bisogna sapere che non tutte le donne potevano ascendere al ruolo di Pizia. Queste infatti erano scelte all’interno di una casta di sacerdotesse del santuario che oltre ad essere originarie di Delfi dovevano avere alle spalle un trascorso personale di specchiata morigeratezza. Se qualcuna di esse era sposata, nel momento in cui faceva il suo ingresso nel santuario doveva abbandonare la sua vita passata recidendo ogni legame coniugale ed affettivo. Sia verso il marito che nei confronti di eventuali figli.

La Pizia inoltre era sempre una donna molto istruita. Almeno nei tempi più antichi: doveva infatti avere conoscenze di storia e letteratura, di filosofia e geografia. Doveva mostrare una buona attitudine nei confronti delle arti grafiche e musicali. Negli anni in cui Delfi si avviò ad un inesorabile declino le sacerdotesse fecero di “necessità virtù” e anche contadine semianalfabete furono scelte per ricoprire il ruolo di Pizia. Questo, secondo gli storici, dimostrerebbe il perché inizialmente le profezie fossero pronunciate in versi (solitamente in pentametri o esametri) mentre in età più tarda ci si abbandonò alla più confortevole prosaicamente.

Diventare una Pizia era inoltre molto ambito dalle donne di Delfi poiché garantiva una serie di privilegi. La Pizia infatti riceva uno stipendio importante, non doveva pagare le tasse e poteva possedere proprietà private oltre a partecipare ad eventi e feste pubbliche. Tutti aspetti della vita che, alle donne greche dell’epoca, erano solitamente escluse. Solitamente poi, nei secoli in cui l’Oracolo di Delfi visse il suo periodo di massimo fulgore, le Pizie erano tre, delle quali due di queste si alternavano nella formulazione delle profezie, mentre la terza era di riserva.

La consultazione dell’Oracolo si svolgeva sempre nel tempio di Apollo ed era preceduta da un rigido cerimoniale. Il santuario innanzitutto elargiva i suoi responsi sono nei nove mesi più caldi dell’anno. Mentre nei tre mesi invernali si riteneva che Apollo abbandonasse Delfi per poi farvi ritorno grossomodo all’inizio della primavera. Tra febbraio e marzo, i pellegrini non potevano accedere al recinto sacro appena giunti poiché considerati impuri e per questo erano tenuti a sottoporsi al katharmos.

Un rito di purificazione presso la fonte Castalìa al quale partecipavano sia la Pizia che i sacerdoti del Tempio che bevevano l’acqua del Kassotis, un’altra fonte sacra che scorreva nei pressi. Vi erano quindi anche degli uomini chiamati a volgere compiti diversi più o meno importanti. Questi erano divisi per classi classi: i preti (hierei), i profeti (proohetai) e gli Interpreti (hosioi). Prima di scomodare il Dio, il pellegrino doveva compiere un sacrificio rituale (prothysis).

Compiuta la purificazione si passava al sacrificio rituale: solitamente erano immolati un bue o una capra e dopo che l’animale era stato ucciso le sue membra venivano bagnate con dell’acqua fredda. Se queste iniziavano a tremare era buon segno perché stava a significare della buona disposizione del Dio nei confronti del nuovo venuto. Vi era poi un’ulteriore fase preliminare, prima di permettere al pellegrino di essere ammesso davanti all’Oracolo: un sacerdote lo sottoponeva a delle domande per capire le sue intenzioni e verificare se l’argomento generale della sua domanda fosse ben accetto.

Se si riusciva a superare l’esame del sacerdote a quel punto il candidato all’incontro con Apollo doveva pagare una tariffa. E compiere una processione rituale lungo la Via Sacra. Infine, estratto a sorte il suo nome tra tutti coloro che erano in attesa per l’ingresso nel Tempio, il credente poteva avere accesso alla stanza della Pizia. Era questo il momento più importante dell’intera cerimonia sacra poiché la risposta di Apollo dipendeva sempre dalla corretta formulazione della domanda.

Non sappiamo a quel punto cosa succedesse con esattezza: la Pizia, dopo essere scesa nell’adyton, viveva una sorta di estasi profetica. Secondo alcuni provocata dall’ingestione di sostanze dalle proprietà stupefacenti. Secondo altri prodotta dalle esalazioni tossiche che fuoriuscivano da delle fenditure nel terreno (si parla di etilene). A quel punto emetteva il suo vaticino. Il rito pare che la vedesse seduta su un tripode con in mano una foglia di alloro e un piatto con dell’acqua della fonte Kassotis nella quale scorgeva la risposta di Apollo.

Ottenuto il responso del Dio (che solitamente era sempre molto ambiguo), i sacerdoti si cimentavano nella sua interpretazione. Molti malignano su come proprio su questi ricadesse il peso reale del responso divino più che sulla sacerdotessa. Infine la cerimonia si chiudeva con l’offerta al Dio di regali, statue e tripodi che i pellegrini donavano per assicurarsi la benevolenza di Apollo. Mentre i sacerdoti correvano prontamente a mettere sotto chiave insieme al resto del grande tesoro del Santuario.

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Al prossimo articolo, un bacio, Miriana.

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