Alla ricerca del mio primo soggetto wild: lo stambecco
Procedere a tentativi
Proseguivano i miei tentativi di catturare immagini con il nuovo zoom (rif.). Imparando a maneggiarlo, a centrare il mio soggetto e approfondire le caratteristiche tecniche di questa nuova branca della fotografia. Seguivo con attenzione diversi fotografi naturalisti di cui invidiavo gli splendidi scatti e mi facevo un’idea di cosa fosse per me questo modo di fotografare. Cominciavo a definire quali fossero gli elementi di base della fotografia naturalistica e cosa fosse necessario studiare per migliorare.
Ingrediente base della fotografia “wild”
I fotografi che ho cominciato ad apprezzare avevano approcci diversi per affrontare questo tipo di fotografia. C’era chi preferiva fare appostamenti mimetizzandosi nella vegetazione ed aspettando per ore, chi preferiva la caccia fotografica e chi amava i capanni. Anche per la scelta dei soggetti la situazione era molto vasta: chi fotografava prevalentemente avifauna, chi mammiferi, chi il micromondo e ancora chi sceglieva la subacquea o un soggetto specifico. Chi preferiva fare ritratti o dettagli e chi invece preferiva rappresentare gli animali nel loro habitat. Non sembrava semplice orientarsi per iniziare, ma su una cosa i fotografi che ammiravo e seguivo erano unanimemente concordi: per fare fotografia naturalistica era necessario, alla base, conoscere bene i soggetti da fotografare: le loro abitudini, i comportamenti, i cibi, gli orari, i luoghi.
Etica “wild”
A questo ingrediente unico ho pian piano affiancato una considerazione etica. Molti fotografi naturalisti la ritengono un elemento fondamentale. Tale condizione era ben espressa dall’AFNI (Associazione Fotografi Naturalisti Italiani) che metteva fortemente l’accento sul rispetto della natura e di conseguenza sulla conoscenza approfondita dei possibili impatti sulla natura. Ho cercato di abbracciare sempre questo approccio nel mio modo di sentire ed affrontare la natura. Preferibile perdere delle foto piuttosto che disturbare o creare possibili disagi alla fauna che osserviamo. Purtroppo questa visione non è condivisa da tutti ed oggi, in certi parchi, i fotografi rischiano di essere un problema più critico dei bracconieri.
Alla ricerca degli stambecchi
Carico di tutte le considerazioni appena fatte sognavo fotografie eccezionali e scenari incredibili, ma nei fatti non avevo conoscenza approfondita di nessun soggetto e di nessun luogo da cui iniziare. Ero decisamente in cerca dei miei primi soggetti. Ho iniziato cosi a progettare la mia prima uscita in montagna. Volevo trovare gli stambecchi, tra i pochi animali che credevo di conoscere un po di più. In realtà conoscevo poco i luoghi (rif.) e poco le abitudini di questi meravigliosi animali, ma volevo provare a cominciare ad approfondire.
Partenza all’alba
Ho scelto il luogo, ipotizzato un’itinerario e alle 5 del mattino di un giorno di metà ottobre, equipaggiato di tutto punto per la mia impresa, parto per l’avventura. L’attrezzatura fotografica, completa di cavalletto, i cambi, il pasto, rendevano il mio zaino pesantissimo ed ingombrante, ma ero carico di entusiasmo. Comincio a salire, dopo 2 ore di cammino e 600mt di dislivello raggiungo il colle a 2400m dove speravo di incontrare i miei soggetti. La giornata è meravigliosa, la zona deserta di persone e, purtroppo, di animali. Attendo un’oretta, mangio qualcosa, ma non si vede nulla.
Cambio di programma
Desolato e abbattuto, decido di tentare una piccola pazzia. Scendo dal colle, ritorno al pianoro, e risalgo dall’altra parte. Idealmente il mio nuovo obiettivo è un passo a quota superiore, che non avevo mai visitato. Alcuni passaggi incerti lungo il sentiero, la stanchezza e la coscienza che l’orario non è più a mio favore, mi fanno ridimensionare l’obiettivo. Decido di arrivare a quota 2500 e poi tornerò indietro. Arrivo alla quota pianificata, mi guardo intorno, cerco col binocolo su ogni roccia, ma non vedo nulla. Il nuovo passo lo conquisterò e scoprirò una prossima volta. Scendo dopo più di 6 ore di cammino e con 1300 metri di dislivello nelle gambe. Ho ancora tanto entusiasmo per la splendida giornata, ma anche un po’ di delusione. Rientro con la consapevolezza che dovrò studiare e imparare molto per avere più fortuna.
Una strana percezione
Disilluso ma contento scendo con attenzione lungo il sentiero che ho percorso in salita. A un certo punto mi sento addosso una strana sensazione che mi costringe ad alzare lo sguardo dal sentiero. Mi accingo ad esplorare con lo sguardo ancora una volta le rocce ed i massi che mi circondano. Alzo gli occhi e lui è lì a meno di 20 metri da me. Un magnifico maschio di stambecco si erge su una roccia; in quel punto, son sicuro, non c’era nulla mentre salivo. Lo osservo, temo di essere troppo vicino. Lui mi guarda non sembra per nulla turbato dalla mia presenza. Lo inquadro e comincio a scattare. Mi sposto per prendere meglio la luce e il panorama intorno. Lui tranquillo strappa qualche vegetale dalle rocce, mi guarda e rumina. Mi sorprendo a intrecciare un intenso dialogo con lui nella mia mente.
Un portamento nobile: il RE
Le sue corna sono una vera corona. Capisco perché in molte tribù le corna sono un segno regale e gli antichi le declinavano quali simboli di saggezza. Ci guardiamo negli occhi. A un certo punto si sdraia e stende le zampe anteriori sulla pietra che ha di fronte (foto). Si gratta la schiena con le corna. A tratti appoggia la testa contro la pietra di fronte a sé, chiudendo gli occhi in cerca di riposo dal magnifico peso. La sua mitezza e tranquillità trasferiscono un senso di nobiltà indescrivibile. Dopo più di un’ora in compagnia di questo magnifico animale decido che è ora di rientrare. A malincuore, ma con una gioia immensa nel petto scendo a valle, girandomi più volte a cercarlo ancora con lo sguardo. Giunto a casa mi ritrovo con più di 800 scatti di questo magnifico incontro. Le emozioni di quel giorno restano uno sprone potente contro la pigrizia che mi assale prima di una nuova avventura.