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Pena di morte e eutanasia, riflessioni sulla morte

Mi è stato esplicitamente chiesto dai miei followers di argomentare riguardo l’eutanasia, ma ho deciso di allargare il discorso anche alla pena di morte. Premetto che, da buona satanista, sono favorevole ad entrambi.

Mi spiego meglio: la pena di morte è un tipo di condanna che consiste nel privare della vita il reo. Il condannato, per aver ottenuto una tale pena, deve aver commesso le peggiori atrocità.

Leggo di petizioni e vedo film che evidenziano come la pena di morte sia una decisione ingiusta, da fermare. Ma consideriamo che costoro hanno torturato, seviziato, ucciso, una o più persone innocenti, quindi dovremmo tenere in vita un simile elemento all’interno di un carcere?

La pena di morte non è una liberazione come sostengono alcuni. Il pensiero di esalare l’ultimo respiro per mano d’altri, per costrizione è una vera e propria punizione, e non sapendo cosa ci sia dopo la morte questo fa ancora più paura. Al contrario beccarsi dieci ergastoli ed essere rinchiusi in un penitenziario, per quanto possa essere brutto, pericoloso e poco igienico, non è esattamente la stessa cosa.

Il 99% dei carcerati a vita già dopo vent’anni diventano istituzionalizzati, vale a dire che non sarebbero piùin grado di vivere al di fuori del carcere per la routine creatasi all’interno. È una punizione questa? Dopo aver privato della vita una moltitudine di persone? Ovviamente mi riferisco ai serial killer, ai sadici, ai pedofili che siano colpevoli conclamati.

La pena capitale esiste da sempre, basti tornare indietro ai tempi del Medioevo, quando era comminata per reati molto meno gravi. Come ad esempio per il semplice fatto di essere avverso a chi era al potere, quella forse era ingiustizia. Ad oggi, essa risulta ancora in vigore in ben 53 stati, ed a parer mio dovrebbe essere applicata ovunque.

L’eutanasia, ad onor del vero, è un argomento ben differente. Il suo significato, tradotto dal greco, è “buona morte”, e viene spesso definito come “suicidio assistito”. La persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e volere. Deve avere una patologia irreversibile tale da portarla a tenersi in vita solo grazie ai macchinari, che comunque non le alleviano sofferenza e dolore.

In conclusione, l’eutanasia io la vivo come il diritto di poter scegliere se continuare a vivere nella sofferenza e da spettatore passivo della realtà che lo circonda. O se porre fine ad un tale logorante strazio nella speranza di trovare finalmente un po’ di pace dopo la morte.