Storytelling

Carbonara – come lasciare un ottimo ricordo

Capita di cucinare fuori casa e all’estero, se non altro per smentire convinzioni fuorvianti, se non addirittura deleterie. Dopo aver visto cosa intendono in Belgio per “Carbonara”, non ce l’ho fatta: ho proposto agli amici di cui ero ospite di prepararla io comme il faut (non perché parlino tutti francese, ma perché sono io a non sapermi esprimere in fiammingo, pur capendolo).

Ho sottovalutato l’aspetto pratico di non sapere dove fossero gli utensili necessari e, soprattutto, di essere totalmente incapace di usare i loro fuochi, peraltro rigorosamente a induzione, dotati di una consolle che nemmeno sulla mia macchina. Ma niente paura: avevo due aiuto-cuochi preparatissimi, anche se incapaci di mettere su persino una pentola per far bollire l’acqua.

A procurarmi gli ingredienti ho pensato io, ma la pasta non era nemmeno italiana, per cui ho dovuto fare buon viso a pessimo gioco: era di quelle che al concetto di “al dente” non sanno nemmeno attribuire un qualsivoglia significato e o resta cruda o si trasforma in colla. Non ci sono nemmeno vie di mezzo con cui dare un senso al tutto.

A ogni passaggio, l’offerta di aggiungere qualsiasi cosa: latte, burro, mozzarella… Al mio fermo e risoluto rifiuto, un’ovazione di sorpresa e stupore, e mi sono ritrovata tutta la famiglia in cucina ad assistere al lieto evento. Già, perché lì la conoscono con panna, prosciutto cotto a strisce e non so cos’altro (ma nemmeno ho osato chiedere, in quanto mi è bastata l’espressione mesta e smarrita – più che colpevole – di Carmelo, il titolare del take away italiano, per capirne il dramma).

L’hanno fatta fuori in cinque minuti e in assoluto silenzio. Poi, un Merci/Thanks/Dankeschön/Bedankt che porterò nel cuore sino alla prossima.

La felicità è una cosa semplice, soprattutto a tavola.